Casalpusterlengo, 27 dicembre 2023 – I resti di Carlo B., morto nel lontano 1926, sono scomparsi e non possono più essere recuperati. Sono stati rimossi dalla tomba nei primi mesi del 2020, senza l’autorizzazione del Comune di Casalpusterlengo (una delle aree più colpite dall’emergenza Covid in quel periodo) e “conferiti in forma anonima nell’ossario comunale”, dove si sono mischiati con altre spoglie sepolte nel corso dei decenni.

Questo episodio ha scatenato una battaglia legale che recentemente ha raggiunto un primo punto fermo. Il Tribunale Amministrativo Regionale di Milano, respingendo il ricorso di una discendente del defunto, ha dato ragione al Comune che il 8 febbraio scorso ha dichiarato “estinta la concessione cimiteriale perpetua”, assegnando così la tomba a un’altra famiglia. Questa sentenza potrebbe essere impugnata davanti al Consiglio di Stato. Ma c’è anche un aspetto penale ancora tutto da definire, poiché sia il Comune di Casalpusterlengo che la discendente di Carlo B. hanno presentato una denuncia alla Procura di Lodi per la rimozione non autorizzata dei resti durante la pandemia, che ha scatenato la controversia. Una causa complessa che ruota attorno al “ius sepulchri” e alle norme che regolano le concessioni cimiteriali da tempi immemorabili.

Per comprendere i dettagli di questa vicenda, è necessario fare un salto indietro nel tempo, al 1926, quando la moglie del defunto Carlo B. ha richiesto e ottenuto dal Comune la concessione di una tomba “per seppellire il corpo del coniuge”, indicando il defunto come unico beneficiario della sepoltura. Nei documenti, recuperati dagli archivi, non viene menzionata la possibilità di ulteriori sepolture. Si tratta quindi di una tomba ad uso individuale, vincolata alla presenza dei resti della persona indicata, e perpetua come si usava fare prima degli anni ’70, quando le regole sono cambiate anche per evitare la sovraffollamento dei cimiteri. A causa della perpetuità della concessione, quella tomba non poteva essere toccata e i resti dovevano rimanere lì per sempre, a meno che tutti i discendenti rinunciassero.

Ma – facendo un salto temporale ai primi mesi del 2020, quando i contagi da Covid-19 erano in aumento e la Bassa Lodigiana era diventata “zona rossa”, inclusa Casalpusterlengo – qualcuno ha aperto la tomba, ha portato via i resti e li ha depositati nell’ossario, violando la legge. In quella tomba, svuotata, è stata poi sepolta la salma di un’altra persona, lontana parente del defunto, morta in quel periodo.

La discendente diretta, che successivamente ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, si è accorta nella primavera del 2020, rimanendo sconcertata, che sulla tomba non c’era più il nome e la foto di Carlo B., ma di un’altra persona.

Cosa è successo? Il Comune, chiamato in causa dalla donna, ha sostenuto di non aver mai autorizzato la rimozione dei resti, che a suo dire è stata effettuata all’insaputa degli uffici, forse approfittando del caos della pandemia. Questo caso è diventato oggetto di sopralluoghi e riunioni per risolvere la situazione: la tomba è stata riaperta, la salma sepolta in quella tomba nel 2020 è stata infine rimossa e sepolta altrove, mentre l’8 febbraio scorso è stata dichiarata estinta la concessione cimiteriale perpetua, rendendo disponibile quella tomba per una nuova assegnazione. La donna, assistita dall’avvocato Annalisa Gennari, ha chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale di revocare l’estinzione della concessione e ha accusato l’amministrazione di “negligenza”. Per il Comune, rappresentato dall’avvocato Claudio Linzola, quella decisione era l’unica strada percorribile, poiché “è oggettivamente impossibile ripristinare lo status quo ante, poiché i resti del defunto non sono recuperabili e non possono essere riesumati” poiché sono “persi” nell’ossario.

I giudici del Tribunale Amministrativo Regionale hanno accolto questa lettura. Nella motivazione della sentenza, i giudici precisano che non sono coinvolti in questo giudizio gli aspetti, al centro delle denunce alla Procura contro ignoti, “che riguardano l’individuazione di eventuali responsabilità di soggetti privati o dell’amministrazione per gli illeciti che dovessero essere accertati dagli organi inquirenti in relazione alla rimozione non autorizzata della salma”.

La revoca della concessione è quindi legittima perché, nonostante ci sia stata una grave violazione del diritto che non può essere sanata poiché i resti non possono essere recuperati, “la tomba ad uso individuale è assegnata a un solo defunto” indicato con nome e cognome. E quando questi resti vengono rimossi “indipendentemente da chi lo abbia fatto” o dalle ragioni, “viene meno la finalità originaria della concessione” che, in questo modo, si estingue.

La ricorrente, almeno, non sarà tenuta a risarcire le spese legali. “La particolarità della vicenda – scrive il Tribunale Amministrativo Regionale – giustifica la compensazione delle spese legali tra le parti”.

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