Chiusura definitiva del camping “No stress” di Lazzago
Oggi, alle 8.30, scade il conto alla rovescia per lo sgombero definitivo del camping “No stress” di Lazzago. Rimane incerta la destinazione degli ultimi “inquilini”.
Il conto alla rovescia è terminato. Oggi, a quasi un anno dall’ordinanza con cui il Comune di Como ne decretava la fine, chiude il camping “No stress” di Lazzago, un posto per il quale sarebbe stato difficile trovare un nome più improprio. Di stress, in questi mesi, i suoi “abitanti” – un esercito di decine di senzatetto per i quali il “sistema” raramente è stato in grado di fornire risposte – ne hanno subito fino a mai, vittime del solito, eterno rimpallo di responsabilità tipico di un Paese in cui quando poni un problema diventi a tua volta un problema.
Ieri gli ultimi resistenti – un manipolo di una ventina di inquilini che hanno atteso fino all’ultimo asserragliati nella porzione di campeggio che insisteva su un terreno privato, e che per questo ancora attendeva d’essere sgomberata, a differenza della porzione che ricadeva sotto la giurisdizione comunale e che per questo era stata già inibita – hanno preannunciato l’intenzione di promuovere una causa di risarcimento, contro l’attuale e contro la precedente amministrazione oltre che, ovviamente, contro i gestori, i quali pare non si vedano più da giorni. In ballo ci sono un bel po’ di soldini, quelli versati in questi lunghi mesi e anni per potersi garantire l’usufrutto di uno dei piccoli bungalow di legno pagati dai 450 ai 600 euro al mese più le spese, cifre tutt’altro che abbordabili per questo esercito di disoccupati, di percettori di reddito di cittadinanza (finché c’è stato) o, nella migliore delle ipotesi, di occupati part-time con contratti a tempo determinato di quelli che non consentono mai di convincere nessun “locatore”. Il quadro della situazione è davvero drammatico: per pochi “campeggiatori” (una coppia) i Servizi sociali del Comune si sono mobilitati trovando loro una sistemazione alternativa e scongiurando così il rischio che finissero per strada, ma l’hanno fatto perché si trattava di cittadini residenti nel territorio del Comune.
Per tanti altri si è scelto di passare oltre, ritenendo – correttamente, in punta di diritto – che a occuparsene avrebbero dovuto essere i Servizi sociali di altri Comuni, quelli di residenza, i quali probabilmente non sono neppure stati mai coinvolti, e basti per esempio pensare a quella coppia di cingalesi con figlio minorenne (lui dipendente stagionale di uno di quegli albergoni a 20 stelle che infiammano la stagione di #Lakecomo) che risultava residente nientemeno che a Venezia e che adesso, a quanto pare, dovrebbero avere trovato una sistemazione provvisoria (ma chissà). Il tema vero è quello del piano B: dove andrà questa gente? Per molti di loro si prospetta la soluzione più gettonata, vale a dire il porticato del Crocifisso o uno qualunque degli altri noti rifugi di senzatetto, altri – quelli che magari un contrattino a tempo ce l’hanno – hanno già trovato soluzioni molto provvisorie in ostello, a 25 euro al giorno con camera condivisa (“Ma quantomeno ci sono un bagno e una cucina”). Per altri ancora boh. Si arrangeranno. Su un punto al “sistema” non si può dare torto; il campeggio non poteva più restare aperto, e non poteva restarlo per una questione di sicurezza, prima ancora che di dignità; è davvero difficile trovare un provvedimento più sacrosanto di quello con cui a fine gennaio 2023, gli uffici comunali decretavano la sospensione dell’attività. Troppi gli incidenti occorsi negli ultimi mesi, troppi gli incendi, i principi di intossicazione per fughe di gas da impianti che evidentemente non funzionavano come avrebbero dovuto, troppo tutto. Troppo anche per una amministrazione cui il camping “No stress”, in questi anni, ha fatto sempre tanto comodo.