Strage di Erba, il caso viene riaperto. Il procuratore che ha respinto la revisione: “È giusto approfondire”. E Olindo telefona a Rosa. Una breve telefonata per condividere la felicità. Ancora insieme, Olindo e Rosa, nella buona e nella cattiva sorte. È stato lui, dal carcere di Opera, a chiamare Rosa, reclusa nel carcere di Bollate, per darle la “bella” notizia della riapertura del processo che li aveva condannati all’ergastolo come autori della strage: quattro morti, tra cui un bambino di due anni, e un ferito grave. “Era molto felice, come me. Ma lo sapeva già”, ha raccontato Olindo al suo avvocato, Diego Soddu, che è andato a trovarlo. Poi Olindo, ancora un po’ confuso, ha ammesso: “Non vedo l’ora che arrivi quel giorno per affrontare un vero processo, un processo giusto”.

E quel giorno è il primo marzo, quando si terrà la prima udienza del nuovo processo sulla “strage di Erba bis” nell’aula della seconda sezione penale della Corte d’appello di Brescia, che vedrà di nuovo Olindo e Rosa, 18 anni, tre gradi di giudizio finiti tutti con l’ergastolo e molte polemiche dopo. L’ultima, generata dalla spinosa frizione tra Cuno Tarfusser, il sostituto procuratore generale di Milano che ha fortemente voluto la riapertura del caso, e la procura di Como. I magistrati comaschi, in una dura nota, avevano fatto sapere di non accettare le parole di Tarfusser che, nella sua richiesta, aveva usato espressioni come “condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti”, “manipolazioni da parte dei carabinieri”, uso di fonti di prova “come grimaldelli per convincere i fermati a confessare” e “dichiarazioni spintanee più che spontanee”, quando, secondo i magistrati di Como, la lettura delle sentenze “non lasciava spazio a perplessità”. A Milano, invece, le tensioni sono state tutte all’interno della procura generale, tra il sostituto Tarfusser e il suo capo Francesca Nanni, che si è sentita scavalcata dall’invio della richiesta di riapertura, che lei non condivideva, direttamente a Brescia. Un comportamento “disinvolto” che ha valso a Tarfusser un procedimento disciplinare. Ieri la Nanni si è limitata a dire diplomaticamente: “È opportuno approfondire vista la delicatezza del caso, il grande rilievo mediatico e visto che la difesa ha presentato una nuova richiesta di revisione con altri elementi”.

E sono proprio questi “altri elementi” che danno il via a un iter processuale che si preannuncia lungo, come lo sono gli appelli dei processi complessi. I giudici bresciani dovranno, come prima cosa, valutare le nuove prove, fare l’elenco dei testimoni e disporre nuove perizie. Si tornerà a parlare del riconoscimento di Olindo da parte del sopravvissuto Mario Frigerio (già deceduto), che la difesa ritiene possa essere un “falso ricordo”; della macchia di sangue della vittima Valeria Cherubini trovata sul battitacco della macchina di Olindo, una “non prova” per la difesa; delle confessioni, poi ritrattate, dei due coniugi che i legali e lo stesso Tarfusser ritengono “indotte”. Ci sono poi i testimoni, alcuni dei quali sono già stati esclusi nel passato: un nordafricano che attribuisce la strage a contrasti tra Azozuz Marzouk, marito della Castagna, e alcuni spacciatori, e un ex carabiniere secondo il quale nella vecchia indagine mancano delle intercettazioni. Accettate e approfondite le prove (escluso che non le accetti completamente perché altrimenti non avrebbe riaperto il processo), la Corte potrebbe annullare la condanna. Nel caso contrario, potrebbe confermare l’ergastolo, ma la decisione sarebbe appellabile in Cassazione.

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