Dalla corte alla difesa, chi deciderà le sorti del killer di Giulia
L’accusa, la difesa e anche chi avrà il compito di giudicare. Ci sono sei donne che in qualche modo hanno nelle loro mani il destino (giudiziario) di Alessandro Impagnatiello, l’ex barman dell’Armani café assassino reo confesso di Giulia Tramontano. Per una coincidenza del destino proprio “Giulia” è il nome di battesimo dell’avvocata Geradini che con la collega Samantha Barbaglia difende il 30enne. Un compito non facile. Non solo per il complesso delle accuse nei suoi confronti. Ma anche perché all’epoca delle indagini non era stato facile trovare un legale d’ufficio che accettasse la sua difesa. Non che ci siano stati aperti rifiuti (che sarebbero oggetto di procedimenti da parte dell’Ordine) ma tra i legali contattati dal sistema automatico in quelle ore c’è stato chi, per diverse ragioni, ha sollevato problemi d’opportunità. Giulia Geradini (alla quale s’è poi aggiunta l’avvocata Barbaglia), invece, ha portato avanti senza indugi il suo ruolo. Interpretando in modo esemplare la regola numero uno dell’avvocatura: garantire un giusto processo ad ogni imputato, nel rispetto delle leggi e della giustizia. Perché un avvocato è anzitutto un garante del diritto, e non è mai — come troppo volte qualcuno sostiene davanti a casi fortemente mediatici — il “reato” della persona che si trova a difendere.
Giovedì durante le prime battute del processo davanti alla Corte d’Assise ha scelto di dire soltanto poche parole, al termine dell’udienza, davanti alle telecamere. In aula solo eccezioni in punta di diritto sulle costituzioni di parte civile e sulla (negata dai giudici) autorizzazione alle video riprese. La difesa di Impagnatiello ha chiamato solo due testimoni (uno psicologo e uno psichiatra) in vista della sola carta — che la legge consente — per provare a scongiurare un ergastolo che appare quasi inevitabile. L’avvocata Geradini ha 37 anni, ma ha già affrontato un processo per omicidio (in abbreviato) quando ha difeso Fabrizio Butà per l’omicidio il 16 giugno 2018 del buttafuori Assane Diallo a Corsico. In quel caso il processo di primo grado s’è concluso con l’ergastolo.
Nel banco al suo fianco, invece, giovedì sedevano due magistrate che hanno seguito le indagini sulla scomparsa di Giulia. Il procuratore aggiunto Letizia Mannella, che guida il dipartimento Fasce deboli e si occupa soprattutto di reati sessuali, stalking e violenze di genere, e il pm Alessia Menegazzo che era di turno nel giorno in cui venne presentata la denuncia di scomparsa. In questi ultimi anni sono molti i casi seguiti direttamente dalle due magistrate. A partire dalle violenze seriali del manager Antonio Di Fazio — condannato a nove anni — che sedava e abusava le sue giovani vittime. Ma anche il caso delle violenze in piazza Duomo durante il Capodanno del 2022. E l’inchiesta ancora in corso che vede indagato per violenza sessuale il calciatore Mattia Lucarelli. Processi e indagini che hanno segnato la storia recente della procura di Milano in un dipartimento che è diventato sempre più centrale in questi anni, sia per le inchieste e le condanne, sia per l’impegno nelle attività di “prevenzione” contro le violenze sulle donne.
Ci sono poi le due togate che compongono la Corte d’Assise insieme a sei giudici popolari. La presidente Antonella Bertoja a Bergamo è stata la giudice del processo di primo grado a Massimo Bossetti per il più importante caso giudiziario nella storia recente del nostro Paese: l’assassinio di Yara Gambirasio. Vicenda conclusa con l’ergastolo per l’ex muratore di Mapello. Poi confermato in tutti i gradi di giudizio. E donna è anche la giudice a latere Sofia Fioretta, a lungo a Milano giudice per le indagini preliminari. Tra i molti casi di cui s’è occupata, l’ultimo in ordine riguarda la vicenda di una ragazza abusata da titolare di un locale dei Navigli condannato pochi giorni fa a oltre tre anni. Ma anche di terrorismo, criminalità organizzata, della vicenda Trenord e di parte delle inchieste sul caso Eni.