La “legge bavaglio” che impedisce la pubblicazione dei nomi degli arrestati avrebbe sicuramente reso più difficile il lavoro dei cronisti e mortificato l’opinione pubblica. Con questa legge, la gente non avrebbe potuto sapere subito chi era stato a commettere crimini gravi come i femminicidi. Conoscere il reo è importante per la gente, quasi un sollievo. Questa legge mi ha indignato come cronista e come uomo. Mi sono tornate in mente storie criminose che ho seguito e raccontato, delle quali non avrei potuto scrivere i nomi dei responsabili ipotizzati.
Uno dei casi più forti è stato il sequestro di Cristina Mazzotti. I membri della banda di banditi furono arrestati quasi subito dopo che fu trovata la salma della ragazza. È stato un sollievo per la gente sapere chi era stato ad ucciderla. Ricordo che molte persone mi chiedevano “Allora? Quella povera ragazza… Li hanno presi?”. Quando i nomi sono stati resi pubblici, la gente è rimasta sconvolta nel sapere che nella banda dei rapitori c’erano anche persone lombarde. Tutto questo la gente lo ha saputo subito. Era l’estate del 1975. Tre anni dopo, ho vissuto un altro sequestro tragico a Meda, dove fu rapito un ragazzo di 16 anni, Paolo Giorgetti. È morto quasi subito, ucciso dal cloroformio. È stato trovato due giorni dopo morto e bruciato in un bosco vicino a Lentate. Immaginate l’impatto doloroso che questo evento ha avuto sulla gente. L’intera Italia voleva sapere. I responsabili sono stati arrestati pochi giorni dopo, erano calabresi di San Luca. Abbiamo pubblicato i loro nomi a caratteri cubitali. La stessa cosa è successa per un altro famoso sequestro in Brianza, quello di Luigi Meroni, titolare della Lema di Alzate Brianza. Pochi giorni dopo il suo rilascio, i carabinieri hanno arrestato i responsabili a Carugo: anche questa volta ‘ndrangheta. Se ci fosse stata la “legge bavaglio”, non avremmo potuto pubblicare neanche i nomi degli arrestati “della porta accanto”. Negli anni ’80, c’è stata la tangentopoli comasca: in pochi anni sono stati arrestati due sindaci e un noto ingegnere consigliere comunale. Gli inquirenti hanno indagato sull’operazione “teleriscaldamento” e altre tangenti. Poi c’è stato lo scandalo Anas: tangenti per lavori sul raccordo A9 (Maslianico-Brogeda), anche qui ordini di custodia. Poi, sempre in città, c’è stato lo scandalo delle licenze di apertura dei supermercati: un assessore alle finanze è stato arrestato. Con l’inchiesta chiamata “Fiori di San Vito”, decine di personaggi, quasi tutti legati alla ‘ndrangheta, sono finiti in carcere. Abbiamo pubblicato tutti i nomi. Una volta, però, abbiamo taciuto le generalità di un arrestato. Per poche ore, una madre che aveva incatenato sua figlia al calorifero perché non andasse a comprare eroina è finita in carcere. Non abbiamo avuto il coraggio di dire chi fosse. In quei tempi, in Svizzera, la polizia non dava i nomi degli arrestati ai giornalisti. Quando erano italiani, i colleghi che li conoscevano li passavano a noi e noi li pubblicavamo. Poi loro li riprendevano. La “legge bavaglio” avrebbe avuto un impatto anche sulla strage di Erba. Non sarebbero stati resi pubblici neanche i nomi di Olindo e Rosa, condannati all’ergastolo anche in Cassazione. La gente li avrebbe conosciuti solo dopo un po’ di tempo, in attesa spasmodica e angosciosa.