La guerra è una realtà crudele e devastante, come affermava sempre Gino Strada. Le persone che ne sono coinvolte riportano ferite, perdono braccia e gambe, devono affrontare i frammenti di ciò che rimane di loro stessi, dei loro affetti e delle loro vite. Al di là delle ideologie e delle discussioni su chi abbia ragione o torto, la guerra porta solo sofferenza.

Anche Andrea Paleari, medico della Croce Rossa di Monza, specializzando in anestesia e rianimazione presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha riflettuto su questo. Lo ha fatto quando venerdì scorso, il 9 febbraio, alle 18:30, si trovava sulla pista dell’aeroporto di Pisa ad attendere l’arrivo di un bambino di cinque anni ferito dai bombardamenti israeliani nella striscia di Gaza.

“Sarebbe arrivato accompagnato dalla nonna e noi avremmo dovuto trasportarlo al San Gerardo. Non sapevamo molto altro, neanche delle sue condizioni, ma ci siamo organizzati per essere pronti a tutto”. La chiamata dalla sala operativa nazionale della Croce Rossa Italiana arriva improvvisa nel tardo pomeriggio di giovedì: il giorno successivo sarebbe atterrato in Toscana un C-130 dell’Aeronautica Militare con a bordo una dozzina di bambini palestinesi provenienti dall’ospedale italiano “Umberto I” del Cairo, destinati ad essere ricoverati in strutture sanitarie italiane come il Bambin Gesù di Roma, il Gaslini di Genova e il San Gerardo di Monza.

Anche il comitato della Croce Rossa di Monza si mobilita immediatamente, insieme ai comitati di altre città del centro e del nord Italia. Organizzano una squadra pronta a partire da via Pacinotti alle 12 di venerdì: sull’ambulanza con Paleari ci sono altri tre volontari – l’infermiera Giaele Lambrughi, la studentessa di infermieristica Chiara Passoni e l’agente di polizia locale Christian Elefante.

Il bambino scende dall’aereo tenuto per mano dalla nonna: i genitori sono rimasti al Cairo per prendersi cura degli altri fratelli. Non di tutti, però: uno di loro non ha sopravvissuto ai bombardamenti che hanno distrutto la loro casa nella striscia di Gaza e ha ferito alla testa il piccolo che ora è in cura al San Gerardo. È difficile avere ulteriori dettagli: la nonna e il bambino non parlano inglese e l’unico supporto durante il viaggio in ambulanza è stato il traduttore degli smartphone.

“Abbiamo cercato, per quanto possibile, di metterli a loro agio: cartoni animati per il bambino e la possibilità, per la nonna, di videochiamare i parenti lontani per rassicurarli sull’arrivo in Italia. Poi, esausti, si sono addormentati fino all’arrivo in via Pergolesi intorno alle 23, dove sono stati accolti dal personale medico e da una mediatrice culturale”.

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