Uno studio condotto dall’Università Statale di Milano ha evidenziato come il riscaldamento dei cibi al microonde in contenitori di plastica non certificati per uso alimentare possa contribuire al rilascio di microplastiche nell’ambiente. Secondo i ricercatori, riscaldando acqua pura a temperature comprese tra i 90 e i 100 gradi in contenitori di plastica per alimenti, si sono liberate nano e microsfere composte dal materiale stesso del contenitore, il polipropilene. Questo materiale ha la caratteristica di fondere tra i 90 e i 110 gradi, dando origine a queste microsfere.

La tecnologia utilizzata nello studio, chiamata Single Particle Extinction and Scattering (SPES), ha permesso di identificare queste microsfere attraverso l’illuminazione con un laser controllato. Le microsfere si sono create solo alle temperature di fusione del materiale dei contenitori, quindi rispettando le indicazioni dei produttori e non portando i contenitori oltre i 90 °C, non si verificherà questo fenomeno.

I ricercatori hanno escluso che la formazione delle microsfere dipendesse dal processo di ebollizione dell’acqua e hanno osservato che nel vetro non si verifica nulla di simile. Nonostante la sistematicità e la ripetibilità del fenomeno, non è chiaro cosa accada una volta che queste microsfere si diffondono nell’ambiente. Possono accumularsi, degradarsi dai raggi ultravioletti o dall’azione dell’acqua del mare.

In conclusione, non c’è motivo di allarmarsi per i cibi, purché vengano rispettate le indicazioni dei produttori dei contenitori per alimenti e si eviti di riscaldarli oltre i 90 °C o per troppo tempo nel microonde. La ricerca sottolinea l’importanza di essere consapevoli delle modalità di utilizzo dei contenitori per alimenti al fine di ridurre l’impatto ambientale delle microplastiche.

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