La Procura generale di Milano ha continuato a opporsi al riconoscimento di un risarcimento per ingiusta detenzione a Stefano Binda, l’uomo di 55 anni di Brebbia che è stato assolto in via definitiva dall’accusa di aver ucciso Lidia Macchi, una studentessa varesina di 21 anni, sua ex compagna di liceo e compagna di militanza politica. Il delitto risale al lontano 1987 e, nonostante le indagini, è rimasto irrisolto.
Nel 2002 la Corte d’Appello di Milano aveva riconosciuto un risarcimento a Binda per l’ingiusta detenzione subita, ma nel giugno 2023 la Suprema Corte ha annullato la sentenza, accogliendo il ricorso della Procura generale di Milano. Quest’ultima ha sempre sostenuto che Binda, con il suo comportamento ambiguo durante gli interrogatori, avrebbe contribuito all’errore sulla sua carcerazione.
La difesa di Binda, al contrario, ha sempre ribadito la sua estraneità al delitto e ha fornito testimoni che confermano la sua presenza altrove al momento del crimine. La Corte d’Appello dovrà ora valutare attentamente le questioni giurisprudenziali per decidere se concedere o meno il risarcimento. I giudici si sono riservati la decisione finale.
La vicenda di Stefano Binda, segnata da anni di ingiusta detenzione e accuse infondate, continua a destare dibattiti e polemiche. La lotta per la verità e la giustizia rimane aperta, mentre il destino di Binda è ancora incerto.