Stefano Binda, un uomo di Brebbia, ha trascorso tre anni, sei mesi e 8 giorni in carcere preventiva per un crimine che non ha commesso. L’accusa di stupro e omicidio di Lidia Macchi, un caso irrisolto avvenuto nel 1987 a Varese, è stata una ferita aperta per la città per molti anni. Binda ha sempre dichiarato la sua innocenza, fornendo un alibi che dimostrava la sua presenza altrove al momento del delitto.

Nonostante ciò, è stato condannato all’ergastolo in primo grado, ma successivamente è stato assolto con formula piena in Appello e definitivamente confermato dalla Cassazione. Questo ha reso la sua detenzione ingiusta, e ha avuto diritto a un risarcimento da parte dello Stato. Tuttavia, dopo un primo riconoscimento da parte della Corte d’Appello di Milano, il caso è stato rinviato dalla Cassazione a seguito dell’impugnazione della procura generale.

Binda si chiede perché lo Stato non si assuma la responsabilità del danno causato dalla sua ingiusta detenzione, soprattutto considerando che mentre era in carcere sono stati aperti altri casi irrisolti, come il delitto di via Poma. Lui è un caso unico, e ritiene che ciò che è successo sia socialmente allarmante.

La lotta di Stefano Binda per ottenere il giusto risarcimento continua, e si spera che alla fine la giustizia possa essere fatta.

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