Andare al liceo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta significava trovarsi in una situazione unica. Da una parte c’era una generazione post-ideologica, legata alla Milano da bere e al riflusso culturale, dall’altra si incontravano professori della generazione precedente, influenzati dal Sessantotto e dal Settantasette.

Alcuni di loro erano supplenti precari, con discorsi rivoluzionari e un atteggiamento lassista nei confronti degli studenti. Tuttavia, dopo i loro comizi, veniva sempre la risata generale, a dimostrare che quel tipo di approccio non funzionava.

Al contrario, la generazione precedente sembrava uscita da un film di Fellini, con professori autoritari e retrogradi che ispiravano risate anche dopo decenni. Il voto di condotta era sacro e decideva il destino degli studenti, ma questi non esitavano a prendere in giro i loro insegnanti.

Poi arrivava quel professore normale, che raccontava storie di adolescenti che colpivano nel segno. Gli studenti si riconoscevano in quei racconti e si riflettevano nelle esperienze narrate. Non serviva il voto di condotta, perché finalmente c’era un insegnante capace di coinvolgere e emozionare la classe.

Quando arriva un professore così, non servono regole rigide o discorsi rivoluzionari. Bastano storie che toccano il cuore degli studenti, che li fanno sentire parte di qualcosa di più grande. E in quel momento, il rispetto e il comportamento impeccabile diventano spontanei, senza bisogno di sanzioni o punizioni.

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