La vicenda giudiziaria di Stefano Binda, l’ex studente di Filosofia arrestato nel 2016 con l’accusa di aver assassinato l’ex compagna di liceo Lidia Macchi, continua a essere al centro dell’attenzione. Dopo essere stato assolto definitivamente e aver trascorso tre anni e sei mesi in carcere per un errore giudiziario, sembrava che finalmente potesse ottenere un risarcimento per l’ingiusta detenzione subita.

Tuttavia, la situazione si è complicata ulteriormente con l’impugnazione della decisione della Cassazione da parte dell’Avvocatura dello Stato. Dopo aver ottenuto un primo riconoscimento di 303mila euro dalla Corte d’Appello di Milano, la massima Corte ha deciso di ridurre l’importo a 212mila euro, attribuendo a Binda una “colpa lieve” nella sua condotta processuale.

La Procura generale di Milano, che ha sempre sostenuto che Binda avesse contribuito all’errore sulla sua carcerazione con i suoi silenzi e che la sua condotta negli interrogatori fosse equivoca, ha impugnato la decisione della Cassazione insieme all’Avvocatura dello Stato. Questo ha portato a un nuovo blocco del risarcimento e al rischio che Binda non possa ricevere neanche un euro.

La difesa di Binda, rappresentata dagli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, ha annunciato che depositerà un ricorso contestando il punto relativo alla “lieve colpa” attribuita al proprio assistito, ritenendola totalmente inesistente. Resta da vedere se anche la Procura generale di Milano deciderà di impugnare la decisione della Cassazione.

La vicenda di Stefano Binda continua dunque a essere piena di colpi di scena e incertezze, mentre lui stesso rischia di non ottenere mai il risarcimento che gli spetta per gli anni trascorsi ingiustamente dietro le sbarre.

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