Perché, per non mettere in discussione la sua autorevole credibilità, l’ex magistrato di Mani Pulite dovrebbe evitare la televisione (almeno fino a una sentenza definitiva…)

C’è una sorta di nemesi biblica che dovrebbe far riflettere il raffinato intelletto giuridico di Piercamillo Davigo.

Perché andare in televisione a farsi del male?

Dovrebbe sorgere il dubbio in lui ogni volta – e sono molte le volte – in cui compare nei talk show per dare il suo contributo sulla riforma della giustizia, l’imparzialità dei pubblici ministeri e i processi di grande interesse mediatico, come quello sulla Loggia Ungheria. Il processo in cui egli stesso è stato condannato in primo grado, ritenuto colpevole dal tribunale di aver addirittura “smarrito la postura istituzionale”: per un servitore dello Stato, la peggiore delle infamie. Ecco, siamo contenti che – ora che è lui il condannato – il magistrato fieramente giustizialista, l’uomo che non credeva nell’esistenza di “innocenti ma solo colpevoli da scoprire”, appaia oggi convertito a un’idea garantista del mondo. Siamo felici che Davigo, come ha fatto a La7, prima a Otto e mezzo, poi a Piazzapulita, poi a DiMartedì, invochi ora l’articolo 27 della Costituzione. La presunzione di non colpevolezza, un tempo considerata da lui come una sorta di errore della giustizia. È vero che la condanna del magistrato a un anno e tre mesi per rivelazione del segreto d’ufficio è soggetta a ricorso e che l’ordinamento richiede tre gradi di giudizio per una condanna definitiva. Ed è una grande conquista per noi garantisti che proprio Davigo lo sottolinei.

Ma esiste anche una dimensione televisiva. Ogni volta che Davigo appare in televisione, ogni interlocutore ospite nei talk show gli ricorda sempre quella sua prima condanna, che è un po’ come una lettera scarlatta. Il peccato originale. Funziona così. Davigo davanti alla telecamera inizia a esprimersi con i suoi monologhi da severo magistrato e – sbam! – subito gli arriva un pugno in faccia: “Dottor Davigo, lei è un condannato: secondo i suoi criteri non dovrebbe nemmeno parlare…”. E si capisce che da quel momento ogni tentativo del magistrato di risalire la china dialettica risulta vano e finisce per schiantarsi contro la realtà. Poi ci sono anche altre perle. Come quando Davigo, sempre da Floris, ha affermato che il collega Francesco Greco avesse violato la legge (e invece è stato archiviato). Tra il pubblico, la timida asprezza di Davigo in televisione viene percepita come arroganza.

Le frequenti apparizioni di Davigo in televisione non ispirano esattamente notti di rimorso all’Innominato. Consiglio non richiesto per il nostro magistrato preferito: caro dottore, dottore, lo dico per il suo bene, eviti la televisione, almeno fino a una sentenza definitiva.

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