Monza, la ragazza costretta a prostituirsi da una connazionale che minacciava la sua famiglia

Monza, 20 ottobre 2023 – Una ragazza di 25 anni, proveniente dalla Nigeria, è stata costretta a prostituirsi sulle strade di Monza da una connazionale. La triste vicenda si è conclusa con la condanna a 11 anni e mezzo di reclusione per la responsabile, Kate A., attualmente in Germania. La giovane vittima, chiamata A., è stata tratta in salvo da un cittadino italiano che ha assistito alle violenze inflitte dalla “madame” e ha deciso di intervenire, ponendo fine all’incubo che la ragazza stava vivendo da tre mesi.

Michele, un uomo di 55 anni originario della Brianza, ha incontrato A. nel dicembre 2016, quando la ragazza gli ha chiesto aiuto. “L’ho ospitata a casa mia, le ho comprato un telefono cellulare per permetterle di contattare la sua famiglia in Nigeria e l’ho messa in contatto con un’associazione che l’ha aiutata a denunciare la sua situazione. Successivamente, è stata trovata una sistemazione sicura per lei, dove ha potuto ricominciare a vivere la sua vita”. Attualmente, la giovane lavora come cameriera in Italia e si è costituita parte civile nel processo. I giudici le hanno concesso un risarcimento dei danni di 50mila euro come provvisionale.

Secondo l’accusa, la giovane A. è stata convinta a lasciare la Nigeria per trovare lavoro e aiutare la sua famiglia. Dopo un lungo viaggio, durante il quale ha subito violenze, è finita nelle mani della connazionale, che l’ha tenuta prigioniera in un appartamento, minacciandola di fare del male a lei e alla sua famiglia. La ragazza era costretta a dormire per terra, a svolgere lavori domestici e a cucinare, privata di soldi e con il telefono cellulare senza scheda. Questo stato di soggezione continuativo aveva lo scopo di sottometterla e indurla alla prostituzione, giustificando questa costrizione come necessaria per ripagare i 35mila euro spesi per il viaggio, che aveva incluso una tappa a Tripoli, dove la ragazza afferma di essere stata abusata sessualmente, e l’arrivo a Lampedusa. “Michele si è offerto di aiutarmi”, ha raccontato A. “Quando chiamavo mia madre in Nigeria, lei piangeva e mi diceva di tornare da Kate che li minacciava, ma io non l’ho fatto”.

A. ha deciso di fidarsi di chi voleva aiutarla e ha denunciato la “madame”, che tuttavia non si è mai presentata al processo e le è stato assegnato un difensore d’ufficio.

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