Alcuni libri hanno una doppia vita: rinascono perché la critica letteraria si impegna ad attirare l’attenzione su di essi, oppure perché cambia qualcosa nel pubblico dei lettori. Prendiamo Nina dei Lupi, uscito per i tipi di Marsilio nel 2011, che ora torna nelle librerie per le edizioni della Nave di Teseo. Dopo gli anni della pandemia, le vicende belliche legate all’Ucraina e la strage mediorientale ancora in corso, lo scenario di una crisi definitiva, di un crollo della civiltà, di un ritorno planetario alla preistoria fa vibrare corde che prima rimanevano immobili o si muovevano solo nella sfera separata della finzione.

Sinistro e profetico, il romanzo di Alessandro Bertante descrive il trionfo della violenza primitiva causato dal collasso economico al quale fa seguito una misteriosa peste che stermina parte dell’umanità. Bertante ambienta la vicenda a Piedimulo, immaginaria comunità rurale schiacciata fra le montagne e il lago, raggiunta dalla strada asfaltata solo negli anni Cinquanta del secolo scorso. La strada, che assieme alla nuova galleria facilita l’accesso al villaggio, è adesso un pericolo: meglio far saltare in aria la galleria e isolare il paese, che diventa una sorta di città-stato gestita in modo autoritario (l’alternativa è la morte per fame) dal sindaco Alfredo Brunelli.

La Nina del titolo è la figlia di Alfredo, una bambina che sta diventando una donna. Quando i predoni raggiungono Piedimulo, Nina fugge sulla montagna infestata da branchi di lupi. Esteriormente, il romanzo ricorda opere apocalittiche come La nube purpurea di M.P. Shiel o Dissipatio H.G. di Guido Morselli, nonché Robinson Crusoe. Nella sostanza, invece, Nina dei lupi drammatizza incubi di barbarie prossima ventura, ma anche il sospetto che il creato sia l’opera di una divinità malvagia, che secondo l’ordine del tempo punisce indiscriminatamente tutti.

Domina il senso di una ferinità universale, articolato in una tetra ballata medievale o dramma a stazioni. L’emblematizzazione di fenomeni naturali o artificiali, come il cielo sul quale si proiettano enigmatiche sfilacciature nerastre o violacee, alludono a una catastrofe che non sembra ascrivibile solo agli errori degli uomini.

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