MOROSOLO – I comportamenti dell’educatrice all’orfanotrofio facevano arrabbiare i ragazzi e mettevano paura alle bambine. Poi arrivò il giorno in cui alcuni di loro decisero di rivolgersi alla psicologa che vedevano tutte le settimane nella comunità di cui erano ospiti. E la donna, allarmata da quelle confidenze, pur non avendo assistito ad alcun fatto, contattò i vertici della struttura. E riferì tutto.

È l’origine del caso dei presunti maltrattamenti al Villaggio del Fanciullo di Morosolo, raccontata dalla psicologa stessa in tribunale a Varese, dove è in corso il processo ad un’ex educatrice della struttura di accoglienza per mamme con bambini e minori, unica imputata nel procedimento che riguarda vicende risalenti al 2017.

La specialista ha risposto per ore alle domande delle parti, e tra numerosi “non ricordo” e molte contestazioni degli avvocati, che per facilitare la memoria hanno fatto riferimento a quanto dichiarato dalla testimone all’epoca delle indagini, sono riemersi quegli episodi che avevano fatto scattare l’allarme all’interno del centro.

Il bambino vittima di percosse, quello chiuso fuori al freddo, senza giacca; quello a cui venivano nascosti i vestiti e quello a cui era stato tagliato un pupazzetto regalatogli dai genitori, e poi finito nel cestino. E infine il bimbo che disegnando un arcobaleno aveva inserito un tratto nero per esprimere il suo umore nei giorni in cui si trovava a contatto con la donna ora imputata.

Questi alcuni dei racconti che oggi, venerdì 24 novembre, sono stati al centro della deposizione della psicologa, inizialmente accusata di non aver segnalato i casi alle autorità, ma poi assolta in udienza preliminare insieme a dirigenti e dipendenti del Villaggio.

La psicologa fu inoltre intercettata nel corso dell’inchiesta sui presunti maltrattamenti. E attraverso le sue telefonate gli inquirenti captarono i cenni a ciò che avveniva nella comunità, tra i racconti delle punizioni inflitte ai bambini e i commenti sulle condizioni di scarsa igiene in cui vivevano nella parte della struttura dove operava l’odierna imputata.

Ed è proprio a proposito delle mansioni dell’ex educatrice che in una telefonata la psicologa si era espressa in termini negativi, affermando che non fosse adatta a lavorare in quel posto. “Perché?”, le è stato chiesto in aula. “Per quello che i bambini mi avevano detto – ha risposto la testimone – Avevano parlato con me in modo spontaneo, senza nemmeno conoscermi bene. E quei racconti mi hanno colpita, anche se alla fine non ero io la persona incaricata di esprimere valutazioni”.

Furono altri colleghi ad occuparsi di quest’ultimo aspetto, al termine di una attività di supervisione e controllo che per la difesa dell’imputata non portò a niente: c’era stata una vacanza, e tra i bambini e l’educatrice non era avvenuto nulla di allarmante.

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