Processo “Nerone” rinviato a ottobre: le ragioni dietro la decisione

L’inchiesta “Nerone” che coinvolge 17 imputati, alcuni dei quali accusati dell’aggravante del metodo mafioso, ha subito un rinvio del processo a ottobre. L’avvocato Corrado Viazzo, che difende la maggior parte degli imputati, ha sollevato un’eccezione di competenza territoriale e funzionale, sostenendo che nessuno degli imputati si sia mai avvalso del metodo mafioso.

L’avvocato Viazzo ha chiesto di tornare in udienza preliminare, ma non più a Milano, davanti alla distrettuale antimafia, bensì a Varese. Il processo è stato quindi rinviato al 3 ottobre, quando verranno valutate tutte le eccezioni da parte del collegio presieduto dal presidente Cesare Tacconi. Il rinvio è stato reso necessario anche perché uno degli avvocati ha richiesto e ottenuto i termini a difesa.

Nel mese di ottobre si saprà se il processo proseguirà con il dibattimento o se il collegio, lasciando cadere l’aggravante del metodo mafioso, rinvierà tutti quanti davanti al gup per l’udienza preliminare a Varese.

Le indagini riguardanti l’inchiesta “Nerone” sono partite nel 2017 a seguito di una serie di incendi registrati in zona. Si trattava di roghi dolosi che indicavano una possibile attività criminale più complessa. I carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Varese hanno intuito uno scenario più ramificato e hanno avviato un’indagine complessa e ad alta tecnologia con intercettazioni telefoniche e ambientali a tappeto.

Inizialmente, l’indagine è stata coordinata dalla procura di Varese e ha coinvolto anche alcuni esponenti della magistratura, la cui posizione è stata successivamente archiviata dalla procura bresciana, competente in materia.

L’inchiesta ha rivelato un ruolo apicale di Giuseppe Torcasio, detto Zio Pino, in uno dei due sodalizi, e per questo motivo l’inchiesta è passata alla Dda di Milano. Zio Pino era parente di Vincenzo Torcasio, detto “u Niuru”, già condannato nel 2017 per associazione a delinquere di stampo mafioso e legato alla cosca Giampà.

L’indagine ha inoltre rivelato un business di spaccio di cocaina nei locali che si affacciano sul lago Maggiore, frequentati da clienti italiani facoltosi. Sul fronte delle estorsioni, l’organizzazione aveva messo in piedi una piccola “finanziaria locale” che prestava denaro con interessi da strozzino. Il recupero dei crediti avveniva attraverso metodi mafiosi, con botte e minacce pesantissime.

Le indagini hanno inoltre rivelato l’utilizzo delle stesse “tecniche” per ottenere favori in ambito edilizio. Un professionista è stato preso di mira per non aver evaso in maniera celere una pratica edilizia legata a Torcasio. Questo caso ha evidenziato l’utilizzo della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo e dalle condizioni di omertà che ne derivano.

Il processo “Nerone” si riprenderà a ottobre, quando verranno decise le sorti degli imputati e se il dibattimento avrà luogo o se si ritornerà all’udienza preliminare a Varese.

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