Il caso dell’omicidio di Cristian Sebastiano continua a far parlare di sé, ma c’è chi è convinto che Giovanni Gambino non c’entri nulla con questa brutale vicenda. A difendere l’imputato è l’avvocato Stefano Gerunda, che si appresta a combattere il 22 novembre davanti alla Corte di Assise di Appello di Milano per ribaltare la sentenza della Corte di Assise di Monza.
Secondo la sentenza di Monza, Gambino è stato condannato a 30 anni di reclusione per concorso morale in omicidio volontario e rapina. Tuttavia, il suo avvocato ritiene che non ci siano prove concrete che lo collegano all’omicidio. Infatti, non vi è certezza che Gambino sia stato l’autore della telefonata alla vittima per organizzare la consegna della cocaina. Questa circostanza ha fatto cadere l’accusa di concorso materiale nell’omicidio.
L’avvocato Gerunda sostiene che tutta la vicenda ruoti attorno al giovane di 14 anni, che da tempo minacciava di uccidere Sebastiano perché lo aveva coinvolto nel consumo di droga. Inoltre, il ragazzo aveva debiti di droga con la vittima. Secondo l’avvocato, manca un movente che giustifichi il coinvolgimento di Gambino nell’omicidio. Infatti, lui e Sebastiano erano amici da tempo e si frequentavano quotidianamente, tanto che alcuni testimoni hanno dichiarato di pensare che fossero addirittura cugini.
L’avvocato Gerunda mette in dubbio anche la frase attribuita a Gambino, “vai e rapinalo”, rivolta al ragazzo di 14 anni. Secondo lui, il giovane aveva già deciso autonomamente di agire e non aveva bisogno dell’approvazione di un adulto, soprattutto considerando che Gambino era solo un tossicodipendente senza soldi, e non certo il boss del quartiere.
La difesa di Giovanni Gambino si prepara quindi a presentare il ricorso in appello, nella speranza di ottenere l’assoluzione per il suo assistito. Sarà la Corte di Assise di Appello di Milano a decidere se ribaltare o confermare la sentenza di Monza. Intanto, il caso rimane aperto e molte domande restano ancora senza risposta.