Un alpino bergamasco, F.B., è stato catturato dai nazisti dopo l’8 settembre 1943 e portato nei lager, dove è stato costretto ai lavori forzati e a patire freddo e fame. Questa terribile esperienza gli ha fatto sopravvivere a 635 giorni di prigionia. F.B. è morto nel 2005, ma i suoi due figli stanno facendo causa alla Germania e al ministero dell’Economia e delle Finanze del governo italiano per ottenere il risarcimento dei danni subiti dal padre attraverso il Fondo appositamente istituito nel 2022 dal governo Draghi. La richiesta è stata presentata dagli avvocati Marco Seppi e Matteo Miatto, che rappresentano gli eredi di decine di altri “internati militari”. La vicenda di F.B. inizia nel 1943, quando è un soldato impegnato nella Campagna di Russia. Dopo l’armistizio con gli angloamericani, F.B. viene catturato dai tedeschi durante uno dei rastrellamenti volti a neutralizzare il Regio Esercito. Viene costretto a lavorare nelle aziende belliche della zona con turni massacranti: 12 ore al giorno, col rischio tra l’altro di finire bersaglio dei bombardamenti anglo-americani; partenza all’alba e rientro a sera inoltrata, dopo marce di decine di chilometri per raggiungere il posto di lavoro e sempre sotto il controllo dei soldati tedeschi, che spesso obbligano i prigionieri anche ad adunate notturne con temperature rigidissime. F.B. alloggia in una baracca priva di riscaldamento, con un’ottantina di altre persone stipate su giacigli di paglia infestati da pidocchi, più simili a loculi che a letti a castello veri e propri, ed è costretto a trascorrere due inverni con la divisa estiva che indossava al momento della cattura. Le razioni di cibo sono risicatissime e i pacchi spediti dai familiari, massimo due al mese per 5 kg ciascuno, quando non vanno perduti durante la spedizione, sono soggetti a consegne irregolari e sporadiche. Durante la prigionia F.B. contrae la tubercolosi, con cui deve convivere – insieme a un disturbo da stress post traumatico – anche una volta tornato a casa. F.B. viene liberato l’8 giugno del 1945, dopo 635 giorni passati nei due stammlager da detenuto senza altra motivazione se non la sua condizione di militare italiano. Secondo i legali, già questo costituirebbe un crimine di guerra e contro l’umanità tale da legittimare la richiesta di risarcimento danni da parte degli eredi. La richiesta di risarcimento è di 171.780 euro per le sofferenze patite dal padre durante la prigionia e per il lavoro non retribuito che è stato costretto a prestare in spregio alle convenzioni internazionali vigenti all’epoca. La parola tocca ora al tribunale di Roma, davanti al quale a settembre è fissata l’udienza.

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