L’appartamento si trova all’interno di un elegante palazzo nel cuore di Milano. Lei è lì ad aspettarlo sulla soglia, avvolta in un impermeabile beige, i capelli raccolti in un foulard, un paio di occhiali da sole che coprono il suo naso francese. Lui la vede da lontano e si affretta ad avvicinarsi. Ha l’energia travolgente dei vent’anni che lo spinge avanti. Prima di entrare, si sistema i capelli confusi. Poi Christine Leroux e Lucio Battisti entrano nell’appartamento di Giulio Rapetti, ovvero Mogol. Li fa accomodare, spostando ceste di vinili dal divano: è la prima volta che vede quel giovane musicista. Lei, invece, lo conosce da tempo: un’amicizia profonda nata tra Parigi e Milano, consolidata dal legame professionale, poiché Christine dirige una casa editrice musicale. Ed è una cacciatrice di talenti insaziabile. Mogol apre una bottiglia. Assaggiano qualcosa e poi Lucio rompe il ghiaccio: “Ascolta, allora ti faccio sentire due canzoni”. Mogol annuisce. Inizia la musica, ma il paroliere fa subito una faccia scura. Christine e Lucio rimangono in un religioso silenzio, in attesa del verdetto. Ora la seconda canzone esplora quel salotto, ma non suscita alcuna reazione. Lucio interrompe la musica. “Ecco, è finito, erano queste”. Mogol vorrebbe dire qualcosa subito, ma si vede che sta scegliendo accuratamente ogni parola. Ma poi, dalle sue labbra, escono cinque parole taglienti: “Non mi sembrano un granché”. Chissà cosa deve aver pensato Battisti nei momenti immediatamente successivi a quella dolorosa constatazione. Era giovane, certo, ma il talento non tiene conto dell’età. Dopo gli esordi a Napoli, si era trasferito a Milano per far parte de I Campioni, la band guidata da Roby Matano. Lo stesso che aveva intravisto in quel ragazzo esile e testardo un talento nascosto, invitandolo a scrivere canzoni. E quindi eccolo lì, ora, nel salottino di Giulio Rapetti con un’agente francese al suo fianco, mentre questi smonta due delle sue canzoni. Alcuni potrebbero prenderlo sul personale, alzarsi e sbattere la porta. Ma lui prende Mogol alla sprovvista. Sceglie bene le parole e risponde ancora più enigmatico: “Anche a me”, sussurra con un sorriso sulle labbra. Christine, invece, sembra averla presa male. Mogol se ne accorge e decide di rincuorarla. In fondo, l’umiltà dimostrata da quel ragazzo l’ha sorpresa. È vero, come confesserà in seguito, durante quel primo incontro non aveva visto niente di speciale in Battisti, né nei suoi testi né nella sua musica. Ma forse si può lavorare su questo. Dirgli che forse è meglio se prova a cantare, anche se lui è riluttante, e che lui si occuperà delle parole. Così si alza e pronuncia una sentenza tutt’altro che definitiva: “Ascolta, cosa ne dici di tornare da me tra qualche giorno? Prendiamoci qualche ora per lavorare insieme e vediamo come va”. Il volto di Lucio si illumina. Anche quello di Christine, perché è stata sventata l’ipotesi di un netto rifiuto. Da quelle prime frequentazioni nasceranno “Dolce di giorno” e “Per una lira”. Poi il grande successo di “29 settembre”. L’inizio di una collaborazione che rivoluzionerà la musica leggera italiana. Partita da un rifiuto, come le storie d’amore più travolgenti.

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