Sulle tracce del pirotecnico racconto dell’Ingegnere, nato dalle cronache del rogo (vero) nella vicina via Boltraffio

Le foglie della magnolia che si rovesciano in strada, insieme ai frutti dei melograni avvizziti, colorano di verde intenso l’angolo tra via Keplero e via Taramelli. Lungo il percorso da viale Zara verso Est, si incontrano alcuni uffici e poi il manto di prato nel giardino dei palazzi al civico 10. In questo spazio silenzioso e ordinato, un tempo poteva trovarsi un fitto bosco di robinie, come lo aveva visto Carlo Emilio Gadda negli anni Venti. Nonostante l’intera via sia ormai edificata, tra il numero 10 e il 18 esiste un vuoto, mancano il 12, il 16 e soprattutto il 14. Non c’è un appiglio per rintracciare la “ululante topaia” descritta nel racconto “L’incendio di via Keplero” dell’ingegner Gadda.

Tuttavia, un indizio è presente se si segue la memoria delle strade di Milano. Basta spostarsi leggermente verso viale Zara, girare a destra in piazzale Lagosta e proseguire fino a piazza Segrino e via Alserio, dove si incrocia via Boltraffio. Anche qui non c’è un numero civico, ma quasi un secolo fa era sicuramente il numero 1. Nel cortile del vecchio stabile di ringhiera si trovava una fabbrica di celluloide, da cui il 11 giugno 1929 si sprigionò un incendio che causò un disastroso caos di abitanti in fuga, pompieri e appartamenti distrutti dal fuoco. Morirono anche tre bambini della famiglia Guidi.

Il Corriere della Sera raccontò la tragedia in una serie di articoli e si sa dell’attenzione che Gadda aveva per la cronaca, in particolare quella nera. Uno studio dimostra che i legami tra l’incendio reale di via Boltraffio e il racconto di Gadda sono così forti da poter sostenere che le cronache giornalistiche siano state una matrice sulla quale lo scrittore ha esercitato la sua creatività. In questo modo, Gadda ha incastonato per sempre nell’urbanistica milanese il ponte immaginario tra Boltraffio e Keplero.

Negli anni Settanta, lo scrittore Giampaolo Dossena cercò il palazzo descritto nel racconto e constatò che in via Keplero il civico 14 non esisteva nemmeno allora. Tuttavia, lungo la strada trovò un vuoto, “un giardino pieno di sterpi” che indicava che alcuni palazzi attuali non erano ancora stati costruiti. Dossena si chiese perché Gadda avesse scelto proprio la via intitolata al matematico e astronomo tedesco Keplero per ambientare il racconto. Ma forse non ha senso interrogarsi, perché “quando Gadda pensa Keplero pensa, senza pensarci, mille cose che voi non pensate”.

Fortunatamente, Gadda ha affidato alcune delle sue riflessioni sulla città di Milano alle sue pagine. Il racconto è un volo cinematografico e onirico che esplora l’anima dell’ingegnere e la sua voglia di viaggiare. Milano diventa il luogo in cui si mescolano il bazar Garibaldino, la carovaniera Farini, i tramonti rossi, i regni misteriosi del Califfo in via Mac Mahon, le stelle infinite sopra la savana tremante di viale Zara e la jungla di robinie chiamata Keplero.

Grazie a Gadda, possiamo ancora oggi immergerci in questo universo narrativo e scoprire i segreti e le connessioni nascoste tra le strade di Milano.

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